domenica 12 ottobre 2014

La rappresentazione mediatica delle donne combattenti curde

Il testo sotto è la mia traduzione di un post di Dilar Dirik  dal sito kurdishquestion.com. Il testo mostra bene come, ancora una volta, le donne siano un campo di battaglia per la guerra, in questo caso mediatica. Il post si concentra sulla propaganda mediatica turca e iraniana, mirata a screditare le donne combattenti e sull'orientalismo paternalista dei media occidentali. A quanto scritto sotto, vorrei aggiungere anche un altro aspetto della rappresentazione mediatica delle donne combattenti, non affrontato in questo post: la tendenza voyeristica e ammiccante che c'è da parte di molti media occidentali. Nelle foto, nei servizi, si sposta continuamente l'obiettivo alla ricerca la femminilità delle combattenti. Insomma, si tenta di "normalizzarle" sullo stereotipo femminile di cura e bellezza. Per me, anche questa normalizzazione è problematica e contribuisce a negare la portata rivoluzionaria della resistenza delle donne nella società. 
Warning: il post ha un po' un tono da propaganda, più che di analisi. 

Funerale di una combattente tratta da un articolo di NBC news

Negli ultimi due anni, nel pieno della guerra civile siriana, i curdi hanno preso il controllo del Kurdistan occidentale (Rojava) e vi hanno progressivamente stabilito strutture di autogoverno. Sin dal principio le donne hanno perso parte attiva alla rivoluzione del Rojava, grazie all'attivismo civile e politico. Ma quello che ha più colpito i media mainstream occidentali è stato il ruolo paritario delle donne combattenti. Queste donne, che combattono contro il regime di Assad e contro i gruppi jihadisti, hanno spesso sottolineato come la loro sia una guerra su più fronti: per la liberazione del popolo curdo e in quanto donne. Nonostante, da decenni, la presenza di donne combattenti sia un elemento naturale in Kurdistan, il mondo sembra accorgersi solo ora del ruolo delle donne nel movimento di liberazione del Kurdistan. In particolare di recente, il movimento delle donne ha stuzzicato l'immaginario dei media mainstream in vari modi generando stupore, orientalismo paternalista fino al sessismo vero e proprio.
Molti articoli sulle donne combattenti curde sono semplicistici, misogini, orientalisti, e a dir poco paternalisti. Invece di provare a comprendere la situazione in tutta la sua complessità, gli articoli spesso si limitano a fare affermazioni sensazionalistiche per far leva sullo stupore di chi legge per il fatto che "povere donne in Medio Oriente" possano essere addirittura delle combattenti. Così, invece di riconoscere la rivoluzione culturale rappresentata dalle azioni di queste donne, in una società altrimenti patriarcale e conservatrice, molti reporter decidono di usare categorie trite.

Da un lato in media di Stato, in particolare in Turchia e in Iran, dipingono le guerriglieri come "perfide puttane terroriste", che odiano la famiglia, come giocattoli sessuali plagiati dai combattenti uomini. Dall'altro, i media occidentali considerano queste donne come "vittime oppresse che provano a sottrarsi alla propria cultura retrograda",  che, altrimenti, le condannerebbe a una vita di delitti d'onore e matrimoni combinati. Oltre ad ignorare completamente le violazioni dei diritti umani che i curdi subiscono, e che è all’origine della resistenza, queste affermazioni non solo non sono basate su fatti, ma peggio contribuiscono attivamente, e volontariamente, a distorcere la realtà.
Sì, le donne curde devono affrontare una società fortemente patriarcale in cui la violenza contro le donne è diffusa, ma le ragioni che hanno spinto queste donne a combattere sono varie e complesse, e, considerano la struttura sociale città, e nel medio oriente, per molti versi rivoluzionarie. Che si condividano o meno questo obiettivi, bollare la decisione di queste donne come "fuga" è inviato e pericolosamente semplicistico. Queste donne combattono attivamente contro il patriarcato -come può essere considerata una fuga?! Se si prova a cercare le ragioni di queste rappresentazioni distorte si nota che il semplice riconoscere le azioni di queste donne sarebbe un pericolo per il sistema.

Il fatto che le donne curde ibraccino le armi, simbolo tradizionale del potere maschile è per molto versi una radicale deviazione dalla tradizione. Pertanto, è importante notare che le critiche che vengono mosse alle donne combattenti non si fondano sul pacifismo, ma su una concezione riduzionista e duale di cosa debba essere la femminilità. Se essere combattenti viene visto come non femminile, esserlo rompe gli schemi sociali e scuote le fondamenta dello status quo.
Le donne combattenti sono accusate di violare la sacralità della famiglia perché vogliono uscire dalla prigione in cui sono state relegate per secoli. Perché capovolgono il sistema, stravolgono l'ordine patriarcale e femminicida, diventando attrici invece di rimanere vittime. La guerra è vista come un affare da uomini, iniziata, condotta e terminata dagli uomini. Così la cosa che più disturba delle donne combattenti è proprio il loro essere donne. I ruoli suoi genere tradizionali spazio riducono e idealizzano le donne come sante, e non appena le donne violano il ruolo a loro assegnato la punizione è feroce. Questa è anche la ragione per cui le donne resistenti in tutto il mondo subiscono violenza sessuale in guerra o nelle carceri politiche. Come hanno fatto notare molte femministe, lo stupro e la violenza sessuale non hanno niente a che vedere con il desiderio sessuale, sono piuttosto un esercizio di potere per dominare la volontà di un individuo. Nel contesto delle donne combattenti, lo scopo lo scopo della violenza sessuale, fisica e verbale è di punirle per aver osato violare una sfera riservata al privilegio maschile.
Un rapido sguardo ai ritratti delle combattenti curde fatti dai media turchi o iraniani mostra titoli come "E’ rimasta incinta", "Le disperate donne delle montagne", "La realtà degli stupri in montagna", "Non era vergine", etc. Questi titoli mostrano chiaramente la mentalità sessista sottostante, che sfrutta valori sociali conservatori comuni, come la famiglia, l'onore sessuale, e combina la misoginia con gli stereotipi culturali razzisti sui curdi. Invece di essere indignati dagli stupri e dalle violenze sessuali dei militari e delle guardie carcerarie (soprattutto sui prigionieri bambini), i media sono ossessionati dalla verginità di queste donne.
Questa propaganda sessista ha come scopo principale quello di delegittimare il movimento delle donne e distogliere l’attenzione dalla sua reale radicalità, che sfida e sconvolge il sistema maschile etero-patriarcale contro cui queste donne combattono. Servono a distrarre dal fatto che la maggior parte delle donne curde si sono unite alla resistenza per convinzione, perché vogliono combattere l'oppressione, e che sono attrici consapevoli che vogliono autodeterminare le loro vite. Il discorso delle"vittime strumentalizzate" è un tentativo di sminuire la consapevolezza di queste donne. Uno pseudo ricercatore ha persino affermato che "in quanto le donne sono più emotive degli uomini, sono più facilmente plagiabili". Se il movimento curdo volesse reclutare e donne come carne da macello o come sex toys troverebbero il sostegno di un gran numero di femministe o accademici? E se così fosse, il PKK seguirebbe un leader che afferma che: “L’uomo è un sistema. Il maschio è diventato Stato e si è trasformato in cultura dominante. L’oppressione di classe e di genere si sviluppano insieme; il maschile ha generato la dominazione di genere, di classe e lo Stato. Quando si analizza l’uomo in questo contesto diventa chiaro che il dominio maschile debba essere eliminato. Cancellare il sistema di oppressione maschile è uno dei principi del socialismo. Distruggere il potere significa distruggere la dominazione di una parte sull’altra, le ineguaglianze e l’intolleranza, tanto quanto lo è distruggere il fascismo, la dittatura e il despotismo”?  Affermare che la mobilitazione delle donne avviene in modo insidioso significa contrapporsi alle filosofie dei movimenti femministi, secondo cui la liberazione delle donne è un principio fondamentale.

Un altro modo per negare l’importanza delle donne combattenti curde è affermare che decidono di salire in montagna per sfuggire alla cultura oppressiva in cui vivono. Sia i media occidentali sia quelli di stato continuano a ripetere questa cosa, molto probabilmente senza avere mai neppure parlato con una combattente curda. Anche se noi, in via ipotetica, accettassimo la premessa che le montagne siano una via di fuga per le donne, perché non chiedersi quali fattori socio-economici e politici perpetuati dagli stati in cui vivono le donne curde hanno contribuito alla loro decisione di seguire la strada della resistenza invece che la vita civile? Perché le donne trovano in questa lotta la libertà che altrimenti non avrebbero nella loro vita quotidiana? Accettare la vecchia propaganda che considera le donne combattenti come vittime confuse, o facili reclute, è un approccio pigro e fallace che semplifica un fenomeno molto complesso. Le donne curde che decidono di prendere le armi hanno un alto livello di coscienza politica che è stato ulteriormente approfondita attraverso seminari di studio. Affermare che la mobilitazione composta principalmente da donne analfabete provenienti dalle zone rurali sia un segnale della superficialità del movimento delle donne, come fanno anche alcune sedicenti femministe significa avere un atteggiamento condiscendente e paternalistico verso le donne provenienti da quei contesti sociali. Affermazioni di questo tipo non sono solo sessiste e scioviniste , sono anche inadatte a spiegare il fatto che le donne curde hanno creato un movimento femminista dal basso che ha sfidato la tradizione e che ha grandemente modificato la società, dando più potere alle donne in maniera significativa.
E’ interessante notare che, benché il movimento delle donne sia oggi arrivato all’attenzione generale, le motivazioni e le idee dietro il movimento sembrano essere ignorate volontariamente. Per esempio, se in qualche articolo si loda a forza e il coraggio delle donne che combattono contro il regime e contro le forze legate ad al-Queda nel Kurdistan occidentale, lo stesso articolo ometterà di dire che la esistenza si ispira alle idee di Abdullah Ocalan.

Mettere al centro nel racconto sulle donne combattenti curde fattori come la disperazione, l’irrazionalità o  la confusione e diffondere propaganda sul loro sfruttamento sessuale sono strumenti sessisti che servono a delegittimare la loro lotta di liberazione. Perché, senza neppure preoccuparsi di parlare con queste donne, le persone pensano di avere una spiegazione pronta per l’uso sulla loro mobilitazione? Da dove deriva questa paura per le scelte di queste donne? Se vogliamo capire la natura bizzarra e distorta della rappresentazione delle donne curde fatta dai media dobbiamo chiederci: “Contro chi combattono queste donne?”  La risposta ci fornirà interessanti rivelazioni. Le donne combattenti curde stanno combattendo contro la Turchia, il secondo più grande esercito della NATO con una struttura militare ultra machista, il cui primo ministro chiede alle donne di partorire almeno tre figli, contro il regime iraniano, che in nome dell’Islam ha deumanizzato le donne, e contro i jihadisti legati ad Al-Qaeda che hanno dichiarato che stuprare donne curde è “halal” (lecito per la legge islamica, ndt) e che credono che, grazie alle atrocità che commettono, andranno in paradiso con 72 vergini. Ma, ancor di più, queste donne combattono contro il patriarcato nella stessa società curda. Contro il matrimonio delle bambine, i delitti d’onore, la violenza domestica e la cultura dello stupro. Non sorprende, quindi, che le donne combattenti curde siano considerate una grande minaccia! Provare a screditare l’azione di queste donne attraverso attacchi sessuali, verbali e fisici, è un tentativo delle strutture patriarcali per provare a sopravvivere. Accettare le donne come combattenti nemici farebbe sgretolare l’ordine esistente fondato sul testosterone.

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