mercoledì 22 luglio 2015

Le "colpe" dei femminismi




Premessa
Spesso mi capita di essere lapidaria, soprattutto quando immagino di condividere dei contesti, per cui spesso mi capita di essere fraintesa. E' abbastanza normale quando si scrive in assenza di conoscenza dei contesti, come nel caso dei social network.

Svolgimento
A proposito della sentenza di appello di un processo per stupro a Firenze (qui se volete fare un viaggio nella merda leggete qui), in una discussione su twitter, mi sono trovata ad essere lapidaria e a dire che la colpa di sentenze del genere è dei femminismi (nel senso che non hanno inciso culturalmente abbastanza nel profondo).

Sono stata, giustamente, bacchettata.



Approfitto qui per provare a spiegare il mio pensiero.

1) Il femminismo, fino al culmine negli anni 70, è riuscito a portare il discorso sulle libertà personali e sulle relazioni sulla scena pubblica e ha raggiunto livelli molto alti di dibattito, riuscendo ad imporli a tutta la società. Non voglio semplificare troppo, ma possiamo dire che nuovo diritto di famiglia, divorzio, aborto, contraccezione sono frutto del femminismo.
2) La cosa più importante, secondo me del discorso femminista, era quello di abbattere il confine tra sfera pubblica, tradizionalmente riservata agli uomini, e sfera privata, delle donne. Un discorso solo proiettato all'esterno non era più accettabile, la rivoluzione doveva partire dalle relazioni, in primis uomo/donna e poi tutte le altre (per capirci, senza che partiamo per tangenti, pensate a che rapporti avevano le nostre nonne coi nostri nonni, prima di tutto questo).
3) Il risultato sono state non solo le trasformazioni legislative ma anche un embrione di nuova società. O meglio, di cosa significava costruire una nuova società.
4) Poi c'è stato il riflusso dei movimenti. Per strada non c'era più nessuna e nessuno. Moltissime donne hanno continuato a fare politica nei consultori, in piccolissimi spazi come le case della donna, ma questi spazi non hanno saputo rinnovarsi e le frequentazioni si sono sempre più assottigliate e le iniziative sono diventate sempre più autoreferenziali.
5) Le femministe, cosiddette storiche, hanno lasciato la strada e sono diventate professoresse universitarie, giornaliste, vips del jet set (ancora semplifico). Così, con le strade vuote, le istanze di liberazione (della società, non della donna) hanno perso il contatto con la realtà.
6) Dagli anni 80 (e sì anche dall'imporsi della televisione commerciale, ma questa è un'altra storia) i femminismi sono diventati "femmine pelose vs donne bone della tv" oppure un esercizio accademico (con tutte le rivalità tipiche del mondo accademico) .
7) Ma soprattutto il femminismo è diventato una cosa da donne. Paradossalmente, proprio le femministe hanno deciso di chiudere quel dialogo col reale e decidere di rinchiudersi nel privato.
8) Con il berlusconismo, le femministe, che erano rimaste chiuse nei salotti per oltre 20 anni, hanno tirato fuori dall'armadio il loro armamentario culturale e lo hanno scaraventato sulla scena pubblica senza una riflessione sociale profonda e, forse, senza rendersi conto che la maggior parte della società era rimasta indietro e aveva dimenticato le idee di liberazione e emancipazione (o magari lo sapevano ma se ne sono fregate).
9) Perdendo la parte "rivoluzionaria", il femminismo si è imposto nel discorso pubblico come censorio, normativo, sostanzialmente borghese. Gruppi come "Se non ora quando" non hanno avuto la capacità di andare oltre una semplice rivendicazione di "rispetto" e "quote rosa", unita alla critica del corpo.
10) Io non dico che le femministe, anche quelle storiche, davvero la pensino così. Dico che non sono state capaci di tenere aperto un canale di comunicazione con le loro figlie e nipoti. Hanno scelto di abdicare il loro ruolo rivoluzionario preferendo le dispute accademiche.
11) Noi figlie e nipoti abbiamo dovuto ricominciare quasi d'accapo con i maschi (ma anche le altre donne) con cui siamo entrate in relazione. Ci siamo inventate altre strade e altre alleanze, come quella coi movimenti queer, ma le nostre nonne e madri ci hanno aiutato poco. 

Cosa c'entra questo con le reazioni alla sentenza di assoluzione allo stupro di Firenze?
C'entra.

C'entra perché non l'assoluzione ma le motivazioni dimostrano che il discorso di liberazione della donna è stato dimenticato, le donne, le ragazze sono -di nuovo- relegate a un determinato ruolo sociale. Si ritiene legittimo giudicarle in base alle loro preferenze o comportamenti sessuali.
C'entra perché in tutta questa storia non c'è la minima messa in discussione della cultura dello stupro e della sopraffazione. Il maschio si sa che è cacciatore, si sa, le femmine sono la preda. O fai Santa Maria Goretti o sei colpevole.

C'entra perché nella società che stavano costruendo le femministe, la questione non erano le quote rosa ma le relazioni sociali, personali e anche economiche, ma non solo.

C'entra perché, l'ho già detto, le femministe hanno abdicato questa lotta e hanno permesso che si tornasse indietro, come se quelle istanze non fossero mai esistite nella realtà.

2 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  2. Il pezzo è molto interessante - e non avevamo dubbi - e ha un enorme pregio in più: aiuta a chiarirsi le idee. Non che non fossero chiare anche prima, ma mettere ordine su questioni così vaste è sempre utile. Il femminismo, che è molte cose, è stato, forse non è ora, e potrebbe essere in futuro, realmente rivoluzionario perché non è solo pratica politica o rivendicazione di diritti. Il femminismo è uno sguardo sul mondo. Ed è questo sguardo complessivo, questo sistema di valori che sembrava acquisito ad essere sfuggito dalle mani. Oltretutto era, è ancora, uno sguardo sul mondo mobile, fluido, non rigido su posizioni da difendere ad ogni costo ma aperto al cambiamento. Quando questo sguardo si è perso, quando si è perso l’allenamento, ecco che si è persa la guerra.
    In pochissime righe riesci a dire, tra le altre, un’altra cosa per me fondamentale. Cito: “Perdendo la parte "rivoluzionaria", il femminismo si è imposto nel discorso pubblico come censorio, normativo, sostanzialmente borghese. Gruppi come "Se non ora quando" non hanno avuto la capacità di andare oltre una semplice rivendicazione di "rispetto" e "quote rosa", unita alla critica del corpo.”
    È un punto cruciale. Io sinceramente non lo so qual è il modo migliore, oggi, di fare la rivoluzione. Di sicuro la strada da seguire non è quella di imborghesire i desideri, di censurare, chiudere, rendere polverosa e stagnante la realtà. È un problema generazionale? Non saprei, ma ad ogni modo non credo si possa ridurre a questo.
    Mi piacerebbe scrivere poche cose sul domani, guardare con ottimismo al futuro, immaginare momenti di rivoluzione autentica, ma non voglio ammorbarvi all’infinito. Voglio dire però che è possibile farlo, è possibile continuare e questo un po’ lo dobbiamo anche alle femministe.
    Forse l'unico punto su cui non sono d'accordo con te è proprio questo, e però mi sembra cruciale: i femminismi non hanno abdicato, hanno proprio perso (pur riportando la migliore e più limpida vittoria tra tutti i movimenti, ché quel poco che c'è rimasto nel senso comune lo dobbiamo alle femministe).
    Non si può negare che molte femministe, anche storiche, si sono chiuse nelle università, nei convegni, nelle belle case, frequentate da amic* sceltissim*. È vero, è successo. Sta succedendo anche in questi giorni. Va detto, però, che è vero altrettanto che spesso parliamo di persone che hanno settant'anni, anche di più. Vogliamo caricare la nostra delusione su di loro?
    Spesso si è detto che le lotte della sinistra sono state lotte difensive dopo l'enorme lavoro del lungo Sessantotto. Forse possiamo applicare anche al femminismo questa tipologia di "resistenza" contro gli urti, le violenze, i disastri culturali e politici. Finché sono state capaci di resistere hanno resistito. Poi hanno perso. Non sono sicuro di voler attribuire loro una volontà di ritirata, un'idea, appunto, di buen retiro, dopo le battaglie. Credo che ci soffrano a vedere il mondo.
    Quindi, sì, hanno - o possiamo dire abbiamo, anche se le generazioni sono diverse, anche se le esperienze sono diverse? - perso molto terreno culturale, ma non me la sento di dire che hanno abdicato. Può sembrare una questione inutile, e magari lo è, ma perdere è diverso da abdicare.

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