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Immagine del Social Strike, http://blog.scioperosociale.it/ |
Sorella (o fratello) precaria,
tu hai ragione. Hai studiato, sei bravissima, fai un sacco di cose fighe per
lavoro, sei giornalista, oppure archeologa o cineasta, hai inventato un sistema
fighissimo per insegnare il tibetano ai cavalli per fare la pet therapy. Avresti,
anzi, hai diritto ad un riconoscimento economico del tuo lavoro. Questa società
invece rifiuta di riconoscerti questo diritto, e dire che tu saresti disposto ad
accontentarti – oVVoVe- pure un misero posto da insegnante.
Allora tu ti indigni, e
fai bene! Scrivi un post per qualche rivista online più o meno figa, chiami il
tuo amico giornalista e scrivete un pezzo di antropologia precaria in cui si
dice quanto sei brava e che è uno schifo che in Italia non sei apprezzata per le
tue competenze e che se ti vengono i 5 minuti te ne vai all'estero e quanto
questo impoverirà il nostro paese.
Io ti leggo e sono d’accordo
con te, anzi, sono proprio come te!
Ma in tutti questi post e
articoli a mio avviso manca sempre qualcosa... manca l’analisi della situazione,
o, meglio, la prospettiva per cambiare le cose, che troppo spesso si riduce in
un elogio dell'autoimprenditoria e lo startuppismo travestito da autonomia (cioè
precisamente quello che ha portato a questa situazione).
Ora, io non mi addentrerò
in un’analisi politica, altre più brave e bravi di me lo fanno, mi limiterò a dare alcuni suggerimenti che possono,
a mio avviso, aiutare a comprendere meglio la tua situazione del lavoratore
cognitivo e aiutare a darci una prospettiva.
1) Impara a
riconoscere i tuoi privilegi.
Molto
probabilmente hai fatto studi avanzati, e i tuoi genitori ti hanno aiutato. Molto
probabilmente hai viaggiato. Molto probabilmente vivi in una casa piccola ma
caruccia, in una zona ex degradata, ora in via di “riqualificazione” (leggi
gentrificazione) e ce la fai a pagare l’affitto, e quando non ce la fai hai a
chi chiedere. Se hai figli vanno a una scuola montessoriana o steineriana, oppure
fanno attività, in genere riesci a pagare la retta, e quando non ce la fai hai c’è
chi si offre.
Questi sono privilegi!
2) Identifica il
nemico.
Chi è il
tuo nemico? Nei momenti di sconforto, quando devo lottare per un contratto di 2
mesi e sperare che passi al vaglio della Corte dei Conti, a me viene da pensare
che il mio nemico è quella stronza dell’amministrazione che ha tredicesima,
quattordicesima, la 104, l’articolo 18, cazzi e mazzi, che non è intelligente
la metà di me e che se ne fotte se il mio contratto parte oggi o tra sei mesi,
anzi che è per colpa sua e di quelli col culo parato come lei se il mio
contratto ha tante restrizioni e se io non avrò mai la pensione.
Benché
sia difficile ammetterlo, non è lei il mio nemico. Non è
che i suoi diritti ledano i miei. Ragionare così significa auspicare una società dove i diritti non ce li ha nessuno. (anche
se, incidentalmente, pure la stronza-dell-amministrazione potrebbe fare uno
sforzo per capire che pure io non sono un nemico alieno che vuole rubarle “o’
post”).
3) Identifica i
tuoi simili.
Fattene
una ragione. Tu sei come il ragazzo di DHL che ti consegna i vinili che hai
comprato su Amazon e il facchino di IKEA che ti viene a montare la cucina. Al
netto dei tuoi privilegi, vivi la loro stessa condizione di precarietà. Il
fatto che tu abbia studiato, che parli e scrivi un italiano forbito, non
dovrebbe farti credere che tu sia migliore di loro e che i tuoi diritti vengano
prima dei loro. Tu hai solo la possibilità e gli strumenti per dire la tua.
Ecco, per
uscire da questa situazione hai bisogno di relazionarti con i tuoi simili.
4) Capisci cosa
vuoi (e che lo vuoi per tutti e tutte)
Dopo che
per anni ti hanno tolto qualsiasi prospettiva di vita, non pensare che, se ce l’hai
fatta, è tutto merito tuo, anzi che il tuo merito vale doppio. Non guardare i
tuoi simili rimasti indietro con compassione e mal celato disprezzo. Il darwinismo
sociale non è una buona cosa, perché subisce un equivoco, come tutto il
darwinismo, chi sopravvive non è il “più forte/il migliore” ma “il più adatto” (a questa società ingiusta, ndr).
Il
successo individuale non dovrebbe essere l’obiettivo. Nella società precaria l’incertezza
è strutturale, domani potresti tornare nel girone dei precari postulanti (non
che te lo stia augurando, eh).
Acquisire
dei diritti per tutte e tutti invece significa uscire dalla condizione di
ricattabilità in cui si trova il precariato cognitivo.
In fondo
cosa vogliamo? Di cosa abbiamo bisogno?
Per
esempio di un reddito di cittadinanza universale che ci permetta di vivere nei
periodi di non lavoro.
Abbiamo
bisogno di una sanità pubblica che funzioni, e che non subisca tagli su tagli
fino a diventare di fatto un privilegio per chi ha o i soldi o l’assicurazione
sanitaria (spesso entrambe le cose).
Abbiamo
bisogno di investimenti sulla cultura, sulla ricerca, sull’innovazione sociale.
Abbiamo
bisogno di scuole e palestre pubbliche per i nostri figli.
Abbiamo
bisogno di affitti calmierati e non in mano alla speculazione.
Abbiamo
bisogno di sistemi previdenziali che tengano conto dell’intermittenza e dei diversi
modelli di lavoro che affrontiamo nelle nostre vite (io ho bisogno, per
esempio, di poter ricongiungere i contributi di gestione separata e quelli di
lavoro dipendente)
Abbiamo
bisogno di quello di cui ha bisogno un essere umano. Ma non abbiamo bisogno di
toglierlo a chi ce l’ha, e non abbiamo più diritto ad averlo di altri nostri
simili, non cognitari.
E, una
volta capito questo semplice concetto, dovrebbe essere più semplice entrare
nella giusta prospettiva per lottare per ottenerlo.
Se sei arrivata in fondo a questo post, ti ringrazio e ti rinvio ad un paio di scritti di persone che sono più brave di me.
- Marco Bascetta, L’economia della promessa http://ilmanifesto.info/leconomia-politica-della-promessa/
- Marta Fana, La falsa contrapposizione tra reddito minimo e lavoro http://www.bin-italia.org/article.php?id=2026
Centratissimo, complimenti.
RispondiEliminaPerò anche qui si parla di reddito di cittadinanza (quello degli Emirati Arabi): se parlassimo tutti di reddito minimo garantito, che è cosa diversa e -questa sì- davvero fondamentale e attuabile?
Caro Nicola, grazie e scusa se rispondo solo ora.
EliminaCredo che la questione nominalistica sia ipertecnica e sottile.
Chiamiamolo come ci pare, purchè l'obiettivo sia un sostegno universale al non lavoro slegato dal percorso occupazionale.
Praticamente, potrei averlo scritto io. Però forse io sarei stata ancora più cattiva. Perché non è solo snobismo. E' riproduzione del modello esistenziale del "nemico".
RispondiEliminamerci danffi.
RispondiEliminalo snobismo oramail dilaga. e per legittimare la propria differenza di "(ingiustamente) precario perché acculturato' molti non solo non riconoscono i privilegi ma spingono sempre di più verso una privatizzazione dei servizi, in particolare se i precari hanno i figli. Allora la scuola sarà privata e se pubblica ci si batte per fare laboratori a pagamento - solo per chi li capisce e se li può permettere; il pediatra della mutua sarà omeopatico e quindi privato (anche se oramai ci sono anche medici della mutua omeopatici, ma visto che sono statali non sono così buoni).
il problema è lo stile di vita e volersi sentire privilegiati.