venerdì 14 febbraio 2014

10 cose che pensano le femministe sul sesso





 

1.       Fare sesso è bello, lo puoi fare con chi vuoi, con quanti vuoi, come vuoi…

2.       Fare sesso è bello, ed è bello far sesso con chi ti piace

3.       Fare sesso è bello, ma se non ti va non c’è nulla di strano in te

4.       Fare sesso è bello, non ha bisogno dell’amore romantico

5.       Fare sesso è bello, non bisogna essere belle/i per far sesso

6.       Fare sesso è bello, ma se qualcosa non ti piace puoi dire no

7.       Fare sesso è bello, anche con se stesse/i

8.       Fare sesso è bello, le uniche cose strane o sbagliate sono quelle che non ti piacciono

9.       Fare sesso è bello, nessuno può insegnarti come si fa

10.   Fare sesso è bello, ma farlo per forza è brutto


Vi risparmio la riflessione sul perché queste sono cose rivoluzionarie... Voi fate un buon San Valentino! 


grazie @La_Geigia o @cutierudegirl -non ricordo più- per la foto

domenica 2 febbraio 2014

I'm not asking for it

Premessa: Nel dibattito pubblico c'è un gran parlare di pompini e del ruolo delle donne in politica (i pompini stessi, pare). Ancora una volta il corpo delle donne è terreno di lotta politica. Le donne sono divise tra sante (quelle d'accordo con noi) e puttane (quelle contro). Ora è superfluo discutere sul quanto questa visione sia misogina e sessuofobica, la sintesi è che io, come altre, mi sono francamente stancata. Sul blog di Eretika è apparso un post (riportato sotto per intero) che, almeno per come l'ho letto io, fa ironia sulle anime belle scandalizzate dall'accusa di fellatio. E ha ragione, perché i primo passo è decostruire e ribaltare il significato degli insulti sessuali alle donne, in modo che chi li fa capisca quanto sia assurdo usare una pratica di piacere come un insulto e forse se ne vergogni, almeno in cuor suo. Ma lo fa raccontando cosa sente una femmina quando cammina per strada. E su questo ho qualche obiezione, perché omette alcuni importanti "particolari". Ho postato il mio commento sul blog, ma è ancora in moderazione. Lo riposto qui, intanto.  


 


Il consiglio è di leggere il post di Eretika ricopiato qui sotto, se non l'avete ancora fatto, e poi il commento. Ma che ve lo dico a fare...  
Non sono d’accordo. Non riesco a fare finta che tutto va bene, che i commenti a cui siamo abituate fin da piccole siano simpatica ironia. Perché so che *ogni* volta che decido di scoprire qualche centimetro in più del mio corpo, di mettermi una gonna più corta o più stretta o una scollatura più profonda, quei commenti e quegli sguardi alla “che te facess’” me li sento appiccicati addosso (e io non sono affatto bella, anzi!).
Il punto è che non mi va il fatto che quando vado in giro le persone credano che, in realtà, stia sempre e solo accompagnando in giro la mia figa. Quei commenti sono non richiesti e certo non cercati, anche se quel giorno mi va di mettermi una maglietta scollata. Ma loro non lo capiscono. La mia non è una posizione sessuofobica, ma quei commenti sono una forma di dominio e di prepotenza. Tu sei un oggetto sessuale per il solo fatto di andare in giro, quindi come tale ti apostrofo. Ma magari in quel momento sto pensando che ho perso il lavoro, che la mia amica ha un problema, che mia sorella è in ospedale, che mi girano e basta. Non li voglio sentire quei commenti.

 E forse non mi va di cimentarmi e provare se l’ironia funziona o se quello è uno dei "pochi" casi in cui no. Perché, dopo aver spiegato con ironia al “compagno di lotta” che mi aveva incatastato contro a un muro che non avevo intenzione di farmi incatastare, mi è stato poi spiegato che o accettavo oppure avrei dovuto dormire per terra, nella casa che ci ospitava per una riunione politica, il tutto nell’ironica indifferenza degli altri due compagni con cui stavamo. Ancora ricordo quella moquette come una vittoria, ma non lo fu.
E benché non mi dispiacerebbe il pigiamino ri saliva co’ rinforzu ‘ntò cavaddu, vorrei essere libera di decidere io quando ne ho voglia. Pure solo di sentirmelo dire.
 
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Fellatio? Ovvio che si. Vieni che te lo spiego per benino…
dal blog Abbatto i Muri
Ti facissi un pigiamino ri saliva co’ rinforzu ‘ntò cavaddu” (ti leccherei tutta concentrandomi su un cunnilingus) fu uno dei tanti cortesi abbocchi da corteggiamenti di strada palermitana ai quali, immagino, le parlamentari del Pd avrebbero reagito con moltissimi mancamenti.
La strada di Palermo d’altro canto è un po’ così: quando tu passi sei come un link condiviso su un social network e chiunque si prende il diritto di dedicarti la frase che preferisce. Così io ho conosciuto la metà dei sogni e dei desideri sessuali di taluni palermitani. Perché quando si pronuncia una faccenda che ha a che fare con il sesso state tranquille che si tratta di una sua fantasia.
Dunque ho saputo che con le mie tette avrebbero voluto farsi una sega, rivivere la primissima infanzia, addormentarcisi, uno voleva addirittura usarle come sfere per leggere il futuro. Qualcuno me le ha chieste in prestito per pensare e un tale, una volta, poggiò la mano su un seno e disse che da lì arrivano terminazioni nervose che gli avrebbero risvegliato i neuroni. Quando ero picciridda, dovete sapere, che averci le tette, che dalle mie parti si dice Minne, pronunciato come Minnie di Minnie e Topolino, significava innanzitutto avere una specie di mensola dove compagni vari schiacciavano pisolini, nascondevano puzzuddicchi ri carta e cianfrusaglie varie, e, all’occorrenza, mi dicevano che l’altro strumento proibito si chiamava “sticchio“.
Mi sto chiedendo adesso: avranno mai detto la parola “sticchioalla Marzano? Vabbè, passiamo avanti. La parola sticchio era assai raro che si associasse ad altro sticchio. L’omofobia nell’adolescenza è un fatto certo e dunque sticchio e ciolla, o pinna, pinnuzza, o minchia, erano destinati a stare insieme e così sarebbero stati felici e contenti.
Lo sticchio, a differenza delle minne, quando cammini non si vede e dunque i riferimenti degli ammiratori di strada su quella zona del mio corpo erano più vaghi. Essendo che è una cosa della quale immaginano una conformazione a buco che parte da un lato e finisce più o meno nell’orecchio, il desiderio espresso era di interpretare il ruolo di un trapano a tre punte, di perforare il monte bianco, di toccare vette irraggiungibili e c’era l’immancabile “veni ccà che ti faccio donna“.
Il culo era generalmente oggetto di osservazioni di scarso profilo filosofico. Lì ci si dedicava alla geometria. E’ tondo, a pera, parrebbe quasi un parallelepipedo, no, è un cilindro, invece è una doppia sfera, dura, citrigna, un mamma mia chi ti facissi, che ci stava sempre bene e per finire un lieto e più romantico “ti mittissi a picurina” che era una specie di invito a festa.
L’altra zona di interesse era la bocca. Le labbra, la lingua, fino ad un certo punto ho immaginato che il gelato fosse stato creato apposta per farci esercitare nei preliminari di un pompino, perché, confesso, la prima volta che ne feci uno andò proprio così. Iniziai di lato, poi un po’ giù, poi un po’ su, poi succhiavo e leccavo e all’improvviso ops mi si raddrizzo il cono e non avevo mai visto una cialda così citrigna.
In strada non ti dicono se e come resti incinta, come salvaguardare la tua salute, quando e come il piacere ti può toccare, qual è la parte della sessualità che puoi indagare per te stessa, a parte quella in cui impari a dare piacere, perché la cosa che probabilmente a Palermo le parlamentari del Pd non avrebbero apprezzato è il fatto che è una scuola di educazione sessuale a cielo aperto dove ti educano gentilmente a far godere. Però ricambiano, eh, appunto. La prima volta che sentii parlare di cunnilingus fu a proposito del pigiamino di saliva con il rinforzo sul cavallo. Un po’ contorto ma d’effetto. Poi c’era l’eterno riferimento al ditalino masturbatorio, ché poi era la cosa più facile da gestire in fai da te. E quando si passò alla penetrazione devo dire che ero già un’amante navigata. A livello teorico.
La cosa che ho imparato soprattutto è stata l’ironia, la leggerezza, l’atteggiamento per niente moralista. Ero assai timida da piccola ma poi crescendo trovavo le risposte, per dire si o no, rispondere a tono, rifiutare senza scandalizzarmi, a volte, con il mio italiano da colonia savoiarda (maledetti!), ché bisognava impararlo a casa perché a scuola nessuno valorizzava il tuo dialetto, mi ritrovavo a chiedere al tizio cosa significasse quel tal termine pronunciato in dialetto stretto. Già solo chiederne il significato disinnescava, perché alla fine dietro chiunque io abbia incontrato, salvo stronzi senza fine con i quali è impossibile parlare, c’è sempre una risata, un po’ di autoironia, pronti a venir fuori.
Da grande poi attraversare la strada diventò semplicemente un modo per ripassare i tanti saperi rubati e ereditati. Dunque, pensavo, se mai qualcuno a me dovesse chiedere se ho fatto pompini in vita mia, ma certo, io direi, eccome se li ho fatti, e spiego anche come, perciò ti siedi, mi ascolti e te lo fai raccontare per filo e per segno senza mai toccarti, grattarti, e non devi neppure arrossire. Ti spiego, sussurrando, che te lo prendo piano in per di qua e poi lo giro in per di là e poi lo lecco in per così e poi lo succhio in per colà, e sono davvero brava, che ti credi… Se tu mi chiedi se l’ho toccato, preso, rigirato, goduto, avuto, bagnato, te lo racconto come se fosse l’ultima storia che tu dovrai ascoltare nella vita. Infine ne avrai talmente voglia che rimarrai consumato, ancora lì, con le tue fantasie irrealizzate, e se non mancherai di darmi della troia per inappagamento dirò che ovviamente lo sono e lo sono anche tanto. Sono una troia senza se e senza ma. Sono una porka che ti fa sospirare porkaggine anche a distanza. Sono una tale passionale creatura che dovrai pentirti per le domande che mi hai fatto. Infine se ritieni che quanto ti avrò detto costituirà una specie di approccio tra me e te e lì che sbagli, perché tu chiedi e io rispondo e rispondo proprio bene. Dopodiché però ciao. D’altronde, che altro potresti voler chiedere a quel punto?
[once again, l'originale è su Abbattiamo i muri qui]