mercoledì 14 settembre 2016

L'"educazione all'uso dei social" è victim blaming



Parlare di educazione all'uso consapevole dei social network in casi di bullismo equivale a dire che la vittima se l'è cercata. Si imputa alla vittima un comportamento inconsapevole e "a rischio" invece di focalizzarsi sui comportamenti, quelli sì, insensati e antisociali degli aggressori. 

Non è la vittima a doversi nascondere, sono gli aggressori a dover essere messi sotto i riflettori. In questo modo accettiamo che un comportamento non conforme alla morale di massa sia una giustificazione causativa  di una reazione violenta. Al contrario è il bullismo di massa, come reazione a un comportamento, qualsiasi esso sia, a dover essere rieducato.

Occorre un'educazione alla libertà e al rispetto, alla libertà e al rispetto del corpo e delle relazioni. Al rispetto della persona, delle diversità e anche della fragilità. 

Non sono io a dover imparare a non postare le mie chiappe su Instagram. Sono gli altri a sapere che quella foto non è a loro disposizione per farci quello che vogliono. Soprattutto non è a loro disposizione per giudicarmi e danneggiarmi.

Certo, per noi che ci crediamo persone digitalmente allitterate, coscienti e consapevoli è facile puntare il dito sulle vittime: "Ma. Signora mia, come si fa a postare un video hard e non temere le conseguenze? Lo sai bene che nell'epoca dell'internet il diritto all'oblio non esiste." Sciocchini quelli che non ne sono consapevoli. Mica come noi.

Non ci rendiamo conto che così torniamo (ci siamo mai mossi?) alla società in cui se una donna mette una minigonna e fa tardi al sera allora può essere stuprata. All'idea che una donna può essere giudicata e denigrata per i suoi comportamenti sessuali, per le sue frequentazioni. Perchè se ostenta è puttana, va punita. Invece noi bravi borghesi dobbiamo tutelarla. Non si sa comportare, va educata.

In fondo, nel nostro paese, la donna deve essere santa, mamma e moglie, soprattutto deve conoscere il suo posto e restarci. E fuori c'è un branco infinito disposto a punire chi devia dalle regole.
Parlare di educazione all'uso dei social è colpevolizzare le vittime. Educhiamo piuttosto i carnefici. Educhiamo al rispetto i sessuofobi, i moralisti, i bulli che hanno bisogno della violenza per affermarsi (nel mondo virtuale come in quello reale). Diciamo a loro, non alle vittime, che così non si fa. Che il loro comportamento è inaccettabile.

Educhiamo i mezzi d'informazione a non strizzare l'occhio a non-notizie, a censurare certi commenti, a non corteggiare le risse social, a non dare spazio al bullismo.

Educhiamo noi a riconoscere le vittime quando sono tali e a includerle in zone protette in cui possono trovare supporto vero, non lo stesso stigma sociale che subiscono dai bulli dei social, solo in versione più "polite".

L'"educazione all'uso dei social" è victim blaming



Parlare di educazione all'uso consapevole dei social network in casi di bullismo equivale a dire che la vittima se l'è cercata. Si imputa alla vittima un comportamento inconsapevole e "a rischio" invece di focalizzarsi sui comportamenti, quelli sì, insensati e antisociali degli aggressori. 

Non è la vittima a doversi nascondere, sono gli aggressori a dover essere messi sotto i riflettori. In questo modo accettiamo che un comportamento non conforme alla morale di massa sia una giustificazione causativa  di una reazione violenta. Al contrario è il bullismo di massa, come reazione a un comportamento, qualsiasi esso sia, a dover essere rieducato.

Occorre un'educazione alla libertà e al rispetto, alla libertà e al rispetto del corpo e delle relazioni. Al rispetto della persona, delle diversità e anche della fragilità. 

Non sono io a dover imparare a non postare le mie chiappe su Instagram. Sono gli altri a sapere che quella foto non è a loro disposizione per farci quello che vogliono. Soprattutto non è a loro disposizione per giudicarmi e danneggiarmi.

Certo, per noi che ci crediamo persone digitalmente allitterate, coscienti e consapevoli è facile puntare il dito sulle vittime: "Ma. Signora mia, come si fa a postare un video hard e non temere le conseguenze? Lo sai bene che nell'epoca dell'internet il diritto all'oblio non esiste." Sciocchini quelli che non ne sono consapevoli. Mica come noi.

Non ci rendiamo conto che così torniamo (ci siamo mai mossi?) alla società in cui se una donna mette una minigonna e fa tardi al sera allora può essere stuprata. All'idea che una donna può essere giudicata e denigrata per i suoi comportamenti sessuali, per le sue frequentazioni. Perchè se ostenta è puttana, va punita. Invece noi bravi borghesi dobbiamo tutelarla. Non si sa comportare, va educata.

In fondo, nel nostro paese, la donna deve essere santa, mamma e moglie, soprattutto deve conoscere il suo posto e restarci. E fuori c'è un branco infinito disposto a punire chi devia dalle regole.
Parlare di educazione all'uso dei social è colpevolizzare le vittime. Educhiamo piuttosto i carnefici. Educhiamo al rispetto i sessuofobi, i moralisti, i bulli che hanno bisogno della violenza per affermarsi (nel mondo virtuale come in quello reale). Diciamo a loro, non alle vittime, che così non si fa. Che il loro comportamento è inaccettabile.

Educhiamo i mezzi d'informazione a non strizzare l'occhio a non-notizie, a censurare certi commenti, a non corteggiare le risse social, a non dare spazio al bullismo.

Educhiamo noi a riconoscere le vittime quando sono tali e a includerle in zone protette in cui possono trovare supporto vero, non lo stesso stigma sociale che subiscono dai bulli dei social, solo in versione più "polite".