Parlare di educazione all'uso consapevole dei social network
in casi di bullismo equivale a dire che la vittima se l'è cercata. Si imputa alla
vittima un comportamento inconsapevole e "a rischio" invece di
focalizzarsi sui comportamenti, quelli sì, insensati e antisociali degli
aggressori.
Non è la vittima a doversi nascondere, sono gli aggressori a
dover essere messi sotto i riflettori. In questo modo accettiamo che un comportamento non conforme alla morale
di massa sia una giustificazione causativa
di una reazione violenta. Al contrario è il bullismo di massa, come
reazione a un comportamento, qualsiasi esso sia, a dover essere rieducato.
Occorre un'educazione alla libertà e al rispetto, alla libertà
e al rispetto del corpo e delle relazioni. Al rispetto della persona, delle diversità
e anche della fragilità.
Non sono io a dover imparare a non postare le mie chiappe su
Instagram. Sono gli altri a sapere che quella foto non è a loro disposizione
per farci quello che vogliono. Soprattutto non è a loro disposizione per
giudicarmi e danneggiarmi.
Certo, per noi che ci crediamo persone digitalmente
allitterate, coscienti e consapevoli è facile puntare il dito sulle vittime:
"Ma. Signora mia, come si fa a postare un video hard e non temere le conseguenze?
Lo sai bene che nell'epoca dell'internet il diritto all'oblio non esiste."
Sciocchini quelli che non ne sono consapevoli. Mica come noi.
Non ci rendiamo conto che così torniamo (ci siamo mai mossi?)
alla società in cui se una donna mette una minigonna e fa tardi al sera allora
può essere stuprata. All'idea che una donna può essere giudicata e denigrata
per i suoi comportamenti sessuali, per le sue frequentazioni. Perchè se ostenta
è puttana, va punita. Invece noi bravi borghesi dobbiamo tutelarla. Non si sa
comportare, va educata.
In fondo, nel nostro paese, la donna deve essere santa,
mamma e moglie, soprattutto deve conoscere il suo posto e restarci. E fuori c'è
un branco infinito disposto a punire chi devia dalle regole.
Parlare di educazione all'uso dei social è colpevolizzare le
vittime. Educhiamo piuttosto i carnefici. Educhiamo al rispetto i sessuofobi, i
moralisti, i bulli che hanno bisogno della violenza per affermarsi (nel mondo
virtuale come in quello reale). Diciamo a loro, non alle vittime, che così non
si fa. Che il loro comportamento è inaccettabile.
Educhiamo i mezzi d'informazione a non strizzare l'occhio a non-notizie,
a censurare certi commenti, a non corteggiare le risse social, a non dare
spazio al bullismo.
Educhiamo noi a riconoscere le vittime quando sono tali e a includerle
in zone protette in cui possono trovare supporto vero, non lo stesso stigma
sociale che subiscono dai bulli dei social, solo in versione più
"polite".