Avrei voluto postarlo direttamente come commento, ma purtroppo non avendo un account Facebook (nè aol, nè hotmail) pare che non possa inserire i commenti lì. Lo metto qui esattamente come lo avevo scritto.
Contro l'open access
Ciao, sono Daniela, mi occupo di pubblicazioni scientifiche
da 10 anni -come managing editor prima e ora come authors editor- odio la Elsevier ma ho moltissime riserve sul
sistema di pubblicazioni di articoli open access così come si sta configurando
come modello di business.
In
principio è tutto bello, come diceva un vecchio slogan di PLOS: we write the
papers, we review them, why should we pay to read them? Inoltre è
indubbio che le grandi case editrici tradizionali monopoliste speculano in
maniera vergognosa con aumenti annuali fino al 10% degli abbonamenti (ogni
maledetto anno) e che questo causa una grave restrizione nella circolazione del
sapere.
Ma il modello di business che si sta affermando per l’open
access è altrettanto diabolico e per di più rischia di far spendere per le
pubblicazioni addirittura più delle riviste tradizionali.
Per pubblicare su una rivista open access (di medicina o
biologia) agli autori viene richiesto di pagare dai 1000 ai 3000 dollari, come
production fee. BMC si sta imponendo con questo modello soprattutto ad esempio
per riviste di piccole e medie società scientifiche.
Questo dato non va separato dalla visione “publish or
perish” che lega quantitativamente la carriera dei ricercatori al numero di
pubblicazioni (che esiste in tutto il mondo tranne che nei paesi anglosassoni
che, avendo più esperienza, hanno capito che così non va).
Dunque, se la loro carriera è legata al numero di articoli
che pubblicano, i ricercatori avranno una grande domanda di spazio per
pubblicare (indipendentemente dalla qualità e dall’importanza dei dati). Ed è
qui che le riviste cosiddette open (in realtà “auto pay”) prolificano. BMC, fondata
nel 2000, ha ormai 255 titoli. La maggior parte, credimi, di scarsissima qualità.
Quindi tutto sommato, ben venga lo scambio dei paper su
Academia.edu o sugli open repository, ma credo che l’open access vada
considerato criticamente tenendo conto degli aspetti che ho brevemente
illustrato sopra. Inoltre credo che il vero terreno di battaglia sia quello,
percorso da Tim Groves, che costringa le case editrici a mollare una parte dei
loro profitti, oppure, meglio ancora promuovere pubblicazioni curate da istituzioni che vogliano investire in un vero
open access.
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