Sono stata a Gerusalemme,
per lavoro, a un convegno medico organizzato da israeliani.
Avevo idea della
situazione in Palestina ma quello che ho visto, e non ho visto nulla, racconta della
colonizzazione israeliana e dell’apartheid. Ho visto il popolo dei
colonizzatori barricato dietro chilometri di muro e filo spinato, tonnellate di
cemento e centinaia di telecamere.
La sensazione la hai
appena arrivati in aeroporto, dove al controllo passaporti ti fanno varie
domande, diverse per ciascuno. Dove vai, conosci qualcuno qui? Ma a questo eravamo
preparati.
Poi dal bus che da Tel
Aviv ci porta a Gerusalemme iniziamo a vedere spuntare un po’ ovunque filo
spinato, chilometri di filo spinato, e poi un muro un lungo spesso muro, e lì
capisci e l’autista conferma: sì, lì dietro ci sono i palestinesi.
Ma l’apartheid in
Israele, come dovunque, si fa anche con l’egemonia economica, e con il continuo
furto di territorio. Al di qua del muro è un continuo costruire. Case case case
per i coloni. Per soffocare quello che è al di là del muro.
E l’apartheid è anche linguistica.
Pochissime le scritte anche in arabo, solo in Hebrew con la traduzioni in
inglese. Se non sapessi che non è così, penserei che anche la città vecchia è
tutta israeliana.
Con la scusa della
sicurezza, Israele esercita un controllo e una pressione costante anche sui
suoi abitanti. Metaldetector, centinaia, letteralmente, di telecamere. Mitra e giubbotti
antiproiettile, spike per fermare attacchi di auto praticamente fuori ad ogni
edificio. E’ perfettamente “normale” vedere giovani militari che salgono prendono
l’autobus imbracciando il loro mitra. Del resto fanno 3 anni di servizio militare obbligatorio
(le ragazze solo 2) quindi posso solo immaginare il tipo di pressione
psicologica a cui sono sottoposti.
In qualunque momento puoi
trovarti di fronte a un check point e a un gentile ma fermo interrogatorio: che
ci fai in Israele? Come si chiama il tuo
Hotel? Come si chiama il tassista che ti ha portato qui? Te lo chiedo perché potresti
avere una bomba…
E infine, ad ogni angolo,
la celebrazione di quella che loro chiamano la guerra di indipendenza, e che in
realtà è la guerra del 48 in cui Israele si impose sui territori palestinesi,
inclusa Jaffa che era un municipio palestinese e che fu poi inglobata in Tel
Aviv.
E su questa società
chiusa e sulla paura e sull'orgoglio che si fonda la colonizzazione. Sul sentirsi assediati, quando invece è si è assedianti.
Un senso di superiorità che si traduce in vere e proprie leggi razziali contro
gli arabi, i cui figli non possono avere cittadinanza israeliana se hanno una
moglie o un marito palestinese, o che devono avere un timbro speciale sul
passaporto se sono figli o coniugi di un palestinese, indipendentemente dalla
loro nazionalità.
E Israele è considerata
una democrazia? Se democrazia è ridotta al solo fare le elezioni, o piuttosto è
democrazia il potere e lo stile di vita occidentale? Potete pure continuare a
danzare, danzerete su terra rubata.
Il passaggio al metal detector per entrare al centro congressi |
Nessun commento:
Posta un commento